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Gestire gli errori dell’originale

Chiunque abbia una certa confidenza con i libri sa che, da qualche tempo a questa parte, la sciatteria editoriale è diventata la norma. Si va dal banale refuso all’errore grossolano.

Mal comune mezzo gaudio: non è un problema che riguarda solo l’editoria italiana, anzi. E chi traduce lo sa bene, visto che si trova spesso a dover gestire gli errori dell’originale.

I refusi, almeno per il traduttore, sono il minore dei problemi. Se, per esempio, si parla della confraternita Alpha Delt, è presumibilmente saltata la a finale. Perciò, senza troppi scrupoli, io posso ripristinarla, e scrivere Alpha Delta.

Anche le sviste palesi creano pochi problemi. Se, per esempio, si descrive la scena raffigurata in un quadro realmente esistente, basta cercare in rete un’immagine del quadro per un controllo veloce. Perciò, se nell’originale si parla di asini, ma i nostri occhi vedono dei nobili destrieri, be’, anche in quel caso, possiamo correggere a cuor leggero. Ovvio, però, che dobbiamo essere certi, al di là di ogni ragionevole dubbio, che si tratta di una svista. Se a parlare impropriamente di asini è una critica d’arte che tiene conferenze è una cosa, se invece è una svampita che a una cena racconta di essere stata per la prima volta al museo è un’altra.

Le cose cominciano a complicarsi nel caso delle incongruenze interne, che spesso sono figlie di un editing non fatto o fatto male. Può capitare, per esempio, che a pagina 47 Tizio lasci un messaggio in segreteria a Caio e magari, a pagina 52, Caio dica di aver ricevuto un SMS da Tizio. Oppure a pagina 120 Sempronio spiega di aver adibito la seconda camera da letto a studio e di averci anche messo un futon per convertirla in stanza degli ospiti nel caso in cui un amico si fermasse a dormire, ma poi, a pagina 123, si dice che c’è un ospite che non riesce a prendere sonno e si rigira inquieto sul divano del soggiorno. In questi casi, bisogna intervenire. Io, di solito, segnalo il problema alla redazione, e mi assumo la responsabilità di decidere come comportarmi, di volta in volta. Se, per esempio, c’è un intero paragrafo dove leggo che Tizio ha provato più volte a chiamare Caio, ma aveva problemi di segnale e campo, e alla fine riesce comunque a lasciare un breve messaggio in segreteria, tendo a salvare proprio il messaggio in segreteria a scapito del povero SMS. Allo stesso modo, se ho letto che Sempronio ha deciso di adibire la seconda camera da letto a studio, perché ha bisogno di un ambiente dove lavorare, ma ha pensato di metterci anche un futon, nel caso in cui uno dei figli o dei nipoti, o magari un amico di passaggio in città, decidesse o avesse bisogno di fermarsi a dormire una notte o due, be’, il futon nello studio pesa di più del divano in soggiorno. D’altro canto, certe volte la bilancia non pende da nessuna delle due parti, e decidere diventa più complicato. Per esempio, quando un personaggio meno che secondario, diciamo una comparsa, ha un nome a pagina 28 e un altro a pagina 215. In casi simili, me ne lavo le mani: segnalo alla redazione che, se lo riterrà opportuno, chiederà all’autore.

I casi spinosi, veramente spinosi, però sono altri. Per esempio: Tizio si lancia in una filippica sulla cucina etnica e conclude dicendo che, ahilui, quando viveva a Parigi gli mancavano un sacco i ristoranti cinesi, perché ce n’erano davvero pochi – e, se hai vissuto per anni a Belleville, mentre riscrivi pari pari in italiano, ti senti morire. Purtroppo, però, di fronte a cose del genere, il traduttore ha le mani legate. Ingoia il rospo, sapendo che probabilmente anche chi leggerà in italiano, reagirà con un WTF di proporzioni epiche. Ma ehi, non l’ho scritto io, io l’ho solo tradotto.

In definitiva, secondo me, di fronte agli errori dell’originale, bisogna sempre muoversi con cautela: correggere e intervenire quando non c’è margine di dubbio, segnalare e confrontarsi con altri quando il margine di dubbio c’è, e soprattutto evitare di cedere al protagonismo, dimenticando che tradurre non è – o non dovrebbe essere – riscrivere.


DISCLAIMER: I miei post non hanno la presunzione di rivelare la verità assoluta. Sono solo riflessioni di una traduttrice tra tante. Dicono qualcosa del mio approccio a questo lavoro, che non è l’unico e – soprattutto – non è necessariamente quello migliore. Ma tant’è.