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Materiale sensibile – NdT

«Tante chiacchiere, pippe mentali, riferimenti culturali e battute a raffica». È stato con queste parole che un’amica che conosce i miei gusti – e le mie debolezze – mi ha “venduto” Materiale sensibile. E, come previsto, mi è bastato leggerne una decina di pagine per soccombere. Poi, grazie a una serie di fortunate coincidenze, l’ho anche tradotto.

Ora, leggere un libro e tradurlo sono due cose, due esperienze ben diverse. Ma c’è di più: puoi amare un libro quando lo leggi e maledirti per aver accettato di tradurlo mentre ci lavori. A volte, invece, il piacere e il godimento ti accompagnano sia in fase di lettura sia in fase di traduzione. E con Materiale sensibile, è andata proprio così.

A colpirmi, fin dall’inizio, sono state l’intelligenza e la sensibilità che sprizza questo romanzo. Da un libro che ha per protagonisti un gruppo di comici, affermati e non, insegnanti e studenti di un master universitario in Stand-up, ci si aspetta che sia un tripudio di situazioni e conversazioni esilaranti. E sì, in Materiale sensibile si ride, ci mancherebbe altro. Ma è un riso spesso amaro, perché Camille Bordas accoglie la lezione di Henri Bergson e di Luigi Pirandello e il romanzo è interamente pervaso dal “sentimento del contrario” che, in definitiva, è l’essenza stessa dell’umorismo.

Se fosse un film o una serie tv, Materiale sensibile sarebbe etichettato come dramedy, diretto discendente della tragicommedia di stampo classico. Che poi è la forma d’arte che più di tutte assomiglia alla vita. Perché, in fondo, cos’è la vita se non un pendolo che oscilla tra commedia e tragedia?

Sono ragionevolmente convinta che i protagonisti di Materiale sensibile sarebbero d’accordo. Sarebbe d’accordo Dorothy, comica stimata ma di nicchia, che a quarant’anni suonati non riesce a sentirsi appagata né dal punto di vista professionale né da quello personale. Sarebbe d’accordo Artie, troppo bello perché la gente lo prenda sul serio come comico, troppo perbene perché le ragazze lo considerino un potenziale fidanzato. Sarebbe d’accordo Ben Kruger, attore all’apice del successo che non ha mai dovuto sgomitare per raggiungere i propri obiettivi ma è devastato dal peso di aver deluso il padre su tutti i fronti. Sarebbe d’accordo Olivia, che da bambina è stata vittima di abusi e ha imparato a nascondere la propria fragilità dietro a una solida corazza di cinismo. E sarebbe d’accordo Manny Reinhardt, finito, suo malgrado, al centro di una shitstorm che rischia di mandare a rotoli non solo la sua carriera ma tutta la sua vita.

E ne sono ragionevolmente convinta perché, mentre traducevo Materiale sensibile, sono stata costretta a entrare nella testa dei protagonisti, a farmi interprete e megafono di ogni loro singolo pensiero – o, come direbbe la mia amica, delle loro “pippe mentali”. Per non lasciarmi travolgere da questo flusso di coscienza ininterrotto e plurale (è quasi un ping pong, a tratti; non hai il tempo di entrare nella testa di uno che vieni rimbalzato nella testa di un altro), ho dovuto fare mia la lezione di Diderot. Non potevo tradurre affidandomi solo all’istinto, mi è toccato usare soprattutto il cervello – eccolo, in sintesi, il paradosso sul traduttore, o almeno il paradosso sul traduttore di un libro così cerebrale.

E sì, come spesso accade, la parte più difficile non è stata tanto risolvere battute, giochi di parole, riferimenti culturali, quanto bilanciare empatia e razionalità, calarsi nei panni di questo gruppo di personaggi (in cerca d’autore? in cerca di sé stessi?) pur mantenendo il necessario distacco. Ma forse nemmeno questa parte è stata così difficile. Perché, come dice Dorothy: «Siamo tutti casi umani». E tra casi umani ci si intende.

Camille Bordas

Materiale sensibile

NN

352 pp.


DISCLAIMER: I miei post non hanno la presunzione di rivelare la verità assoluta. Sono solo riflessioni di una traduttrice tra tante. Dicono qualcosa del mio approccio a questo lavoro, che non è l’unico e – soprattutto – non è necessariamente quello migliore. Ma tant’è.