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Il letto di pietra – NdT

Quando Federica mi ha scritto chiedendomi se avevo voglia di tradurre una raccolta di racconti di Margaret Atwood insieme a lei, la prima cosa che le ho riposto dev’essere stata: Sei pazza? O forse: Sei scema? Il senso, ovviamente, era: Ma figurati se posso azzardarmi a tradurre un’autrice come la Atwood! Ti farei fare una figuraccia. Poi vabbe’, ho accettato.

Devo confessare una cosa: conosco pochissimo Margaret Atwood. Di suo ho letto solo metà del Racconto dell’ancella e un paio di racconti dell’Uovo di Barbablù – a mia discolpa, non sono una grande lettrice né di racconti né di distopie.

Ora, nel mondo ideale – così come nel mondo prospettato da molti corsi di traduzione – prima di mettere mano a un’autrice così importante, sarebbe cosa buona e giusta provare a farci conoscenza, leggendola. Nel mondo reale, ahimè, non si può, per la semplice ragione che non c’è il tempo. E soprattutto perché se ti fermi un mese per leggere e “prepararti”, per quel mese non mangi. Chiusa parentesi.

Viste le premesse, tradurre i racconti del Letto di pietra di Margaret Atwood è stato un vero e proprio salto nel buio.

Ho subito riconosciuto una scrittura eccellente – per un traduttore, di norma, scrittura eccellente significa scrittura compiuta, con una voce riconoscibile, coerente; tutte cose che facilitano di gran lunga il lavoro. Ma anche spinosa: e, nel caso, specifico – perché esistono varie tipologie di scritture spinose – significa essenzialmente una sintassi elaborata, una pioggia di giochi di parole, allusioni e doppi sensi, ma anche – e forse soprattutto – una voce molto witty – brillante, sagace, ammiccante – con tutto quel che comporta.

Tra i quattro racconti che ho tradotto, il mio preferito è indubbiamente La dama nera, il terzo della raccolta. I protagonisti sono due gemelli attempati, per usare un eufemismo, e molto arguti. Il racconto, quindi, è un susseguirsi di battute irriverenti, commenti caustici e doppi e tripli sensi, spesso a sfondo sessuale. E, lo confesso, mentre lo traducevo mi sarebbe piaciuto essere pappa e ciccia con Guè – volendo anche con Marra, quello zarro e greve, però – e potergli chiedere: Senti, ma tu come la tradurresti questa allusione? Giusto per farvi capire, mi è toccato tradurre – in rima! – degli epigrammi di Marziale che dovevano risultare moderni, freschi e anche un po’, come dire, espliciti.

Ho fatto una certa fatica, invece, con Lo sposo liofilizzato, perché ci ho messo un po’ a intonarmi alla voce – tradurre racconti è, forse, più difficile che tradurre romanzi, perché di volta in volta devi quasi ricominciare daccapo. Qui, il protagonista è un tipo un po’ losco che, per mestiere, tratta pezzi d’antiquariato. Solo a pochissimo dalla fine della prima stesura, ho capito in che direzione dovevo andare, e per fortuna, quando ho rivisto, riletto e sistemato, sono riuscita – almeno credo – a restituire l’atmosfera da noir che aleggiava nell’originale.

Il racconto che dà il titolo alla raccolta, Il letto di pietra, è ambientato su una nave da crociera e c’è di mezzo un delitto. Tra tutti, forse, è stato quello che mi ha fatto penare meno – non so se perché c’erano meno allusioni e ammiccamenti che negli altri.

Anche con l’ultimo racconto, Al rogo i vecchi, mi sono divertita, probabilmente perché anche qui i personaggi principali sono due anziani irriverenti e caustici – Jorrie e Tin, i gemelli, però, sono più scoppiettanti, mentre nella storia di Wilma e Tobias, il tono generale, seppure brillante, è più agrodolce.

Tradurre Margaret Atwood – o perlomeno tradurre questi racconti – non mi ha costretta solo barcamenarmi tra giochi di parole, allusioni, strizzatine d’occhio e citazioni. Quello che mi premeva era, in primis, restituire una sintassi ricca, a tratti perfino barocca, senza però scadere nel lezioso o peggio mi sento nel traduttese, e in secondo luogo, non tradire i molteplici registri dei testi, gongolando quando avevo l’occasione di andare a pescare termini un po’ desueti, vintage.

E, insomma, alla fine anche questa traduzione ce la siamo portata a casa senza troppi danni – almeno credo. Cosa mi resta? La consapevolezza che se l’ho sfangata è anche per merito di Guè, Marra e compagnia – un giorno tutto questo rap ti sarà utile, appunti per un post a venire, chissà – e la certezza che prima o poi mi capiterà di dire, con la stessa enfasi con cui quello diceva: Stavo col Libanese, che ho cofirmato una traduzione con Federica Aceto.

Margaret Atwood

Il letto di pietra

Racconti edizioni

327 pp.


DISCLAIMER: I miei post non hanno la presunzione di rivelare la verità assoluta. Sono solo riflessioni di una traduttrice tra tante. Dicono qualcosa del mio approccio a questo lavoro, che non è l’unico e – soprattutto – non è necessariamente quello migliore. Ma tant’è.