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Il prontuario della buona revisione

Tradurre è un mestieraccio, rivedere è anche peggio.

Di base, un bravo revisore, dovrebbe rileggere il lavoro del traduttore e intervenire per migliorarlo – perché nessuno è infallibile, tutto è perfettibile e due teste, quattro occhi e quattro mani funzionano meglio di due. Per questo, un bravo revisore dovrebbe conoscere molto bene la lingua di partenza, e ancora meglio l’italiano. E, soprattutto, dovrebbe avere una sensibilità linguistica e letteraria straordinaria. In un mondo ideale, almeno. Purtroppo, però, la realtà è talvolta – non sempre, grazie al cielo – ben diversa.

Questo, infatti, è un racconto dell’orrore.

Premessa doverosa. Io adoro i revisori (bravi). Bacio la terra sulla quale camminano quando beccano un mio errore, quando risolvono una frase che io avevo reso in modo infelice e, in generale, tutte le volte che intervengono per migliorare il mio lavoro. E sono sempre stata convinta che un traduttore impara più di quanto imparerebbe seguendo tremila corsi quando viene rivisto da qualcuno che sa cosa sta facendo. Fine della premessa.

Prontuario di cosa non dovrebbe fare un bravo revisore.

Un bravo revisore non dovrebbe fare interventi superflui, che non migliorano nulla. Per esempio, non dovrebbe cambiare “pastiglie” con “compresse”, “rimanere” con “restare”, “assieme” con “insieme” e simili, così, di default, per sfizio.

Un bravo revisore non dovrebbe fare interventi che rientrano nella sfera del gusto personale, tanto più se vanno nella direzione del piattume, e tolgono anche quel briciolo di colore che, con tanta fatica, il traduttore ha cercato di aggiungere a un testo abbastanza grigio. Per esempio, non dovrebbe cambiare “porta sfiga” in “porta male”, “dare la stura” in “dare libero sfogo”, “fare il piacione” in “fare il simpaticone”, “sul groppone” in “sulle spalle”, e via discorrendo.

Un bravo revisore non dovrebbe cedere all’ossessione per le ripetizioni che, spesso, sfocia in quella che io chiamo sinonimite. Tanto più, se per evitare ripetizioni – che, tecnicamente, neppure sono ripetizioni – genera obbrobri.

Qui occorre qualche esempio.

Risposta alla domanda “Dove abiti?” nel testo consegnato dal traduttore: “Sempre sopra il panificio. È una goduria sentire l’odore del pane appena sfornato“.

Intervento del revisore: “Sempre sopra il forno. È una goduria sentire l’odore del pane appena sfornato” .

Il revisore eccessivamente zelante voleva evitare la pseudo-ripetizione panificio/pane e ha inserito quella forno/sfornato. Perché? Misteri della fede.

O ancora.

Traduttore: “Andate a Vattelappesca? Allora non prendo la macchina, mi faccio dare anch’io un passaggio da X, disse osservando Y e Z che si preparavano per andare in città”.

Revisore: “Andate a Vattelappesca? Allora non prendo la macchina, mi faccio dare anch’io un passaggio da X, disse osservando Y e Z che si preparavano per recarsi in città”.

Qui, per evitare una pseudo-ripetizione, il revisore zelante, è inciampato nell’antilingua di Calvino.

Ah, vi risparmio i “morire” che diventano “perire”, ma siamo sempre in quel campo lì.

Un bravo revisore non dovrebbe inserire termini pescati a caso dal dizionario dei sinonimi e dei contrari. Perciò se trova che “una prospettiva felice” non sia il massimo, prima di cambiare in “prospettiva euforizzante” dovrebbe contare fino a dieci. Ovviamente, poi, il traduttore troverà una terza via, e tirerà fuori dal cilindro “prospettiva allettante”.

Un bravo revisore non dovrebbe mai perdere di vista l’italiano, producendo frasi che puzzano di versione di latino – o di Google Translate.

Se l’originale dice: “haloed by the intensity of love for the baby” e il traduttore ha scritto: “aureolata dall’intensità dell’amore che provava per il figlio”, il revisore non può modificare in: “avvolta da un’aura di luce dettata dall’intensità dell’amore che provava per il figlio”.

Ebbene sì, tradurre è un mestieraccio, rivedere è anche peggio. Ma, di fronte a revisioni del genere, è umanamente impossibile ottenere un buon risultato finale. E, ahimè, sorvolando sulle gastriti e sul fegato scoppiato del malcapitato traduttore, a perderci sono sempre i lettori.


DISCLAIMER: I miei post non hanno la presunzione di rivelare la verità assoluta. Sono solo riflessioni di una traduttrice tra tante. Dicono qualcosa del mio approccio a questo lavoro, che non è l’unico e – soprattutto – non è necessariamente quello migliore. Ma tant’è.