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La traduzione è una maratona

La traduzione è una maratona – non ricordo chi lo ha detto, ma chiunque sia stato ci ha preso in pieno. E chiunque abbia fatto qualche corsetta nella vita, sa perfettamente che una maratona non si improvvisa, va preparata.

Cominciare a tradurre un libro nuovo, per me, è un po’ come preparare una maratona – una mezza, dai, che io lì mi sono fermata nei miei ferventi anni da runner dilettante.

E visto che mi accingo a cominciare a tradurre un nuovo libro, ho pensato di raccontare come mi organizzo.

Prima di tutto, cerco di farmi un’idea del tempo che potrei metterci, dettaglio fondamentale per capire se i termini di consegna proposti dall’editore sono ok o se invece devo trattare per rosicchiare qualche settimana in più. Faccio dei calcoli di massima, trasformando mentalmente le pagine in cartelle, e mi chiedo: quante pagine/cartelle al mese riuscirò a tradurre? quanto ci metterò per la prima e la seconda rilettura? E poi aggiungo un margine (un mese, di solito) per far fronte a eventuali imprevisti. Se troviamo un accordo, cioè se i termini di consegna fanno contenti tutti, si parte.

A quel punto, su un apposito quadernetto (sì, sono antica, vivo in una sorta di modalità mista, un po’ digitale e un po’ analogica), preparo la tabella di marcia. E quindi mi ritrovo con una sorta di specchietto-guida, suddiviso in settimane, che mi dice da tale data a tale data devi fare tot pagine, da pagina x a pagina y, fino alla settimana più bella, quella dove c’è scritto fino alla fine. A quel punto si ricomincia, con un altro specchietto-guida, stavolta per la prima rilettura, sempre allo stesso modo: da tale data a tale data devi rileggere/riscrivere da pagina x a pagina y, ancora una volta fino alla fine. E, infine, terzo specchietto-guida, stavolta per la seconda rilettura, come sopra.

Conclusa la fase organizzativa, giunge il momento di mettere le mani in pasta, ovvero di cominciare a tradurre.

Premetto che io non leggo (quasi) mai il libro, prima di iniziare a tradurre. O meglio, non lo leggo (quasi) mai per intero. Non tanto perché non abbia il tempo o la voglia, ma perché non ne ho bisogno.

Leggere il libro prima può essere utile, può servire a entrarci dentro, a prendere le misure di una serie di cose: lo stile, in primis, ma anche i problemi/le difficoltà che bisognerà affrontare in corso d’opera. Ma, salvo casi particolari, ci si riesce anche leggendo giusto 20-30 pagine, che poi è quello che faccio io.

Lette quelle 20-30 pagine, creo il documento di Word che mi terrà compagnia nei mesi a venire. E inizio finalmente – ! – a tradurre.

Di solito passo molto, moltissimo tempo sul primo capitolo, e riscrivo, limo, mi sbatto la testa al muro finché non ottengo una versione soddisfacente, che considero quasi definitiva – ovvero quasi pronta per il visto si consegni. E lo faccio anche quando non mi chiedono una prova per decidere se assegnarmi il libro o no, perché è qualcosa che serve a me. Mi serve perché mi permette di testarmi, di capire se l’idea che mi sono fatta leggendo le prime 20-30 pagine è corretta o campata in aria, di intuire cosa andrà liscio e dove mi impantanerò – è un libro pieno di riferimenti culturali e richiederà tante ricerche? ci sono molti termini tecnici? citazioni come se piovesse? giochi di parole ogni due per tre? – e soprattutto mi consente di definire la mia strategia traduttiva – a cosa devo dare la precedenza? al ritmo, all’atmosfera, alla precisione lessicale…?

A quel punto, e solo a quel punto, comincia per me il lavoro vero. Lavoro vero che consiste nella prima – invereconda – stesura, seguita da una vera e propria riscrittura, da una rilettura attenta e da un’ultima rilettura finale, veloce.

Ovviamente, proprio come succede quando si prepara una maratona, non è sempre tutto in discesa o lineare. Per gran parte del tempo, mi ronza nella testa quella simpatica vocina che mi dice: Oddio che schifezza che stai facendo, sei una capra, non sai l’inglese, non sai l’italiano, non riuscirai mai a consegnare una roba neppure lontanamente decente, non lavorerai mai più, datti al giardinaggio. Finché, come ogni volta, si compie il miracolo.


DISCLAIMER: I miei post non hanno la presunzione di rivelare la verità assoluta. Sono solo riflessioni di una traduttrice tra tante. Dicono qualcosa del mio approccio a questo lavoro, che non è l’unico e – soprattutto – non è necessariamente quello migliore. Ma tant’è.